TeknoFilm - DVD - A teatro con Pirandello - LA SIGNORA MORLI, UNA E DUE di Ottavio Spadaro (1972) - FABBRI EDITORI
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Marca:
FABBRI EDITORI
Tipologia:
Edicola
Condizioni:
Nuovo
Regista:
Ottavio Spadaro
Anno:
1972
Genere:
Commedia
È una commedia in tre atti che deriva dalle novelle La morta e la viva (1909) e Stefano dogli uno e due (1910). È stata scritta nel 1920. Fu rappresentata la prima volta a Roma, al Teatro Argentina, il 12 novembre 1920 dalla Compagnia Emma Gramatica e pubblicata da Bemporad, Firenze, nel 1922.
La commedia non ebbe nelle prime rappresentazioni successo di pubblico, e fu piuttosto stroncata da una critica forse eccessivamente ingenerosa. Certo che in quegli anni si era nel pieno dell’influenza dell’estetica crociana che fin dal primo decennio del ’900 era stata ostile alla scrittura pirandelliana e alle implicazioni programmatiche che vi erano dietro, espresse dal Pirandello stesso nei saggi Arte e scienza e L’Umorismo; e ancora nel 1934, quando a Pirandello fu conferito il premio Nobel, Benedetto Croce commentò: “la sua maniera consiste in taluni spunti artistici, soffocati e sfigurati da un convulso e inconcludente filosofare. Né arte schietta dunque, né filosofia”. In realtà questa commedia sembra poter dare parzialmente ragione a Croce: la vicenda si snoda in modo spesso farraginoso, il dialogo appare involuto perché attraversa situazioni poco verosimili o fortemente improbabili; abbondano i particolari che appaiono estranei a quanto l’autore stesso sembra voler comunicare al pubblico; questa commedia segna una pausa tra quelle innovative che abbiamo già menzionato e lo sviluppo artistico successivo con Sei personaggi e Enrico IV.
Tuttavia il pubblico apprezzò maggiormente questo lavoro quando, con il titolo Due in una venne rappresentata il 14 marzo 1926 al Politeama nazionale di Firenze con protagonista Marta Abba.
Un doppio affetto, per l’amante e per il marito, può albergare nella stessa persona, fino al punto di farla sentire due persone diverse. Questo particolare aspetto della pirandelliana molteplicità dell’io è la «verità» della commedia La signora Morli, una e due, che non manca certo di un concreto fondamento psicologico e che come tutte le verità praticate oltre le regole sociali e le convenzioni umane, crea profondi contrasti.
La duplicità di sentimenti in cui vive, con totale sincerità Evelina Morli, suscita una vivace contesa fra il marito Ferrante Morli e l’amante, Lello Carponi: entrambi vogliono Evelina tutta per sé, come è nell’ordine delle cose. Ma, intanto, sono proprio loro due a operare la profonda divisione nei suoi affetti, incominciando persino dal nome che scindono a metà: Ferrante la chiama «Eva» e le fa rivivere gli entusiasmi di un amore spensierato e felice: Lello la chiama «Lina» e la proietta in un’atmosfera di tranquilla rispettabilità e di doveri sociali. Così le due personalità della protagonista sono designate da due nomi che sono parti del suo intero nome «Evelina».
Come sempre, c’è la reazione degli altri; ma in questo caso il conformismo sociale parteggia per l’amante e non per il marito. Ed è comprensibile: i commenti vengono da parte di amici e di amiche dell’ Avvocato Lello Carponi, di cui ammirano la serietà e la rettitudine, nonché la buona azione da lui compiuta nel prendere con sé Evelina e il figlio Aldo, dopo che il marito Ferrante Morli, costretto a fuggire per problemi d’interesse, li aveva abbandonati. Il confronto fra amante e marito avviene al sorprendente ritorno di Ferrante, che, dopo quattordici anni di lontananza, nessuno più s’aspettava. Né Ferrante pretende ormai nulla: riconosce i meriti dell’Avvocato Carponi; nel colloquio che ha con lui ammette che ha ragione in tutto; e afferma di non volere che il suo ritorno cambi qualcosa. Egli è remissivo e tollerante, mentre agitatissimo risulta Lello Carponi che si vede crollare addosso il suo mondo e non accetta nessuna scusa o giustificazione o ammissione. Conclude osservando che ormai la presenza di Ferrante mette pubblicamente in evidenza che Evelina vìve con un uomo che non è il marito.
L’incontro con Ferrante sconvolge Evelina e si capisce subito che l’antico amore è sopravvissuto in entrambi. A nulla servirà che Ferrante si trasferisca a Roma; parte con lui il figlio Aldo, che è un richiamo per l’affetto della madre, rimasta a Firenze con Carponi e la figlioletta che ha avuto da lui. E sarà proprio Aldo a far precipitare la madre a Roma con un telegramma in cui finge d’essere gravemente ammalato. Lieta di averlo trovato in ottima salute Evelina, invece di rimproverarlo seriamente, accetta lo scherzo e si trattiene a Roma per otto giorni.
Vissuta quattordici anni con Lello «uomo malinconico, posato e scrupoloso», Evelina è diventata «seria e contegnosa». Ferrante, uomo allegro e vivace, le ricorda una vita più lieta di quella che conduce a Firenze; nel breve soggiorno romano, trascorso in innocente spensieratezza, riscopre l’antica Eva che era in lei; in compagnia del marito e del figlio si diverte come non aveva più fatto, va persino a cavalcare. Ferrante è colpito dalla reazione di Aldo che indirettamente gli rivela la monotonia dell’ attuale vita di Eva: «Ma sai che per me sei tutta, tutta nuova mammina? Io ti sto conoscendo adesso, non ti ho mai veduta così». Ferrante si sente come se non fosse mai partito e non vuole che Eva torni a essere quella che è a Firenze. S’accorge che è ancora innamorata di lui e pretende che rimanga a Roma. Ma Eva gli risponde che se ne va proprio perché sente per lui l’antico amore. Decide di tornare a Firenze non solo da Lello cui tanto deve, ma dalla piccola figlia. A Firenze dovrà affrontare la requisitoria dell’Avvocato Carponi che la rimprovera aspramente per essere rimasta otto giorni a Roma. Nel finale Evelina appassionatamente gli spiega come là si sia sentita un’altra persona e come vi si trovasse a suo agio. Ma ora proprio per non impazzire non vi andrà più; Aldo se vuol vedere la madre verrà a Firenze.
Non c’è niente di meccanico e di intellettualistico nello sdoppiamento di Evelina che risulta basato su sentimenti plausibili e autentici. Nella contesa è lei che risulta la più altruista; la sua decisione finale è un sacrificio basato sull’amore materno. Ancora una volta Pirandello vede nella donna una creatura indifesa, vittima dell’egoismo degli uomini.
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